Capitolo 1

Nei giornali furono scritte molte cose, ma nessuna è mai riuscita ad avvicinarsi all’orrore che provai quando entrai nella foresta a Nord di Arkham. Come investigatore privato non era certo una novità entrare in quelle oscurità erbose. Il mio compito era quello di risolvere i casi che la polizia riteneva non importanti. Il mio lavoro veniva richiesto quando non c’era altra speranza. I clienti mi cercavano perché erano disperati, perché la rassegnazione alla scomparsa, alla morte, è una condizione che non si addice quasi a nessuno.
I primi mesi dell’anno, però, avevano segnato un incremento di sparizioni e morti, anche se di cadaveri, in realtà, non se ne erano mai visti. La dichiarazione di morte da parte della polizia, che seguiva le normali procedure di ricerca, non fermava i parenti che venivano a bussare alla mia porta.
Proprio questo aumento di richieste d’aiuto fu il motivo del mio crescente interesse  verso le vaste foreste che contornano Arkham. Gli indizi puntavano tutti verso quella massa verde, ma nessuno ad un risultato concreto. Piú mi incaponivo nel cercare di trovare la soluzione del puzzle, piú i pezzi sembravano mancare. Come se un bambino capriccioso avesse fatto volare via i pezzi dal tavolo mentre li stavo posizionando, cosí da ritrovarmi piú spazi vuoti che parti connesse. Ogni pista trovata si infrangeva contro vicoli ciechi, mura di omertà o anche solo di ignoranza.
Se fossi stato una persona piú istruita, avrei potuto dire che la foresta è sempre  stata, e sempre sarà, il catalizzatore di tutti gli eventi. La grande custode dei segreti delle sparizioni delle persone.
Ma questo, al tempo dei fatti, era un azzardo logico anche per me. Pensare ad un catalizzatore di eventi significava vedere un disegno superiore, cosa, questa, alquanto improbabile. Se non, in tutta onestà, impossibile.
Le prime avvisaglie degne di nota di queste strane sparizioni, le registrai negli  ultimi mesi del 1929. L’Arkham Advertiser non mancava di menzionare ogni persona che aveva lasciato la città e che, per un motivo o per l’altro, non si era fatta piú vedere nei dintorni. Padri, madri o sorelle, non c’era distinzione di età o sesso. Quello che accomunava le sparizioni era la modalità: fino al momento
prima le persone sembravano essere tranquille e impegnate nelle attività quotidiane, il momento successivo erano sparite. Nessun segno, nessuna lettera d’addio o spiegazione alcuna.
C’erano, ovvio, delle eccezioni a questa regola, cosa che accrebbe la mia titubanza ma anche la mia curiosità. Alcune delle persone scomparse erano nel mezzo delle attività quotidiane o sociali finché, all’improvviso avevano compiuto una deviazione che le aveva spinte lontano e poi nel nulla.
I parenti, trovatisi di fronte all’impotenza della polizia e alle risposte evasive, venivano presi dallo sgomento. Questo li portava da me. Adesso posso ammettere, con una punta di vergogna, che spesso mi sono ritrovato a dare anche io quella stessa risposta evasiva. Ho diversi cappelli torti come monito della mia fallacia come investigatore e molti fazzoletti di seta a testimoniare come le piste seguite non fossero altro che specchietti per le allodole.
Potevo riuscire dove i segugi della polizia avevano fallito? No. Ma il tentativo andava fatto e le storie struggenti dei miei concittadini avevano fatto breccia nella corteccia dura del mio cuore scozzese.
La prima meta del mio itinerario investigativo fu, ovviamente, la Centrale di Polizia. Se volevo le informazioni, dovevo prendere quelle di prima mano.
La Polizia di Arkham non avrà trovato il motivo delle sparizioni, ma all’epoca aveva raccolto quante piú prove possibili sui casi, aveva quindi un archivio da consultare.
Il risultato della mia ricerca nelle scartoffie della polizia accrebbe notevolmente il mio timore. Quello che però non potei mai confessare ad anima viva, e che imprimo solo ora su queste pagine bianche, è che oltre al timore sentivo nascere anche una morbosa curiosità. Una spinta a sapere di piú, a scavare oltre la superficie. Se la polizia era stata cosí miope da non vedere i collegamenti, perché seguire pedissequamente le impronte del cieco?
Le sparizioni avevano una spiegazione logica, un percorso naturale, solo che nella fretta di rincorrere le ombre degli scomparsi ci si era dimenticati di seguire qualche passo.

47 pensieri su “Capitolo 1

  1. Zeus

    L’ha ribloggato su Music For Travelerse ha commentato:
    La nuova fatica del duo artistico Zeus & Ysingrinus.
    Un’orrorifica fatica che vuole omaggiare il solitario di Providence con una storia nei boschi del New England immaginario nonché immaginifico creato da Lovecraft.
    Divinità aliene e Orrore Cosmico, queste le nostre stelle allineate!

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  2. Mattia De Padova

    Molto bello. La struttura della punteggiatura mi pare molto ripetitiva o troppo semplice. Rende la lettura, proprio la lettura, monotona. Aspetto anch’io, prossimamente, il capitolo successivo.

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      1. Mattia De Padova

        Di tutti i lati di Lovecraft quello è il lato più criticato e meno apprezzato. Ovvio se la vostra[non riferito solo ad Ysingrinus, non ti montare la testa :)] opera vuole essere, idealmente, un “fake” HPL, il risultato voluto è stato ottenuto. Ed è anche un buon risultato. Questo ovviamente restringe la vostra libertà di scrittura, ma immagini che questo non vi creerà grandi problemi.

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      2. A dire il vero ultimamente il lato più criticato di Lovecraft è il razzismo. Lo stile sta venendo rivalutato col tempo.
        Quello che cerchiamo di fare non è un “manoscritto perduto da noi ritrovato di Lovecraft” ma un racconto ispirato ai suoi temi ed alla sua scrittura. Inevitabile quindi, per noi, cercare di omaggiare anche la sua prosa.

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      3. Mattia De Padova

        Per quel che avevo letto, non lo era più dei suoi contemporanei. Ciò non toglie che ciò che avrei voluto nei suoi racconto non era meno razzismo bensì una prosa più piacevole.

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      4. Vero, non era l’unico razzista dell’epoca, anzi, probabilmente non era neanche il più razzista. Però per qualche motivo del suo razzismo, via via stemperato con il passare del tempo, se ne ricordano in molti.
        Lo stile può, ovviamente, piacere o non piacere, però non è detto che sia facile scindere lo stile dall’ambientazione che riusciva a costruire: la sensazione di oppressione cosmica era sicuramente enfatizzata dallo stile pesante e complicato.

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  3. Chiaro che apprezzo assai questa iniziativa 😉 e apprezzo anche il risultato di questo primo capitolo. La spiegazione sarà davvero così logica come crede il protagonista? 😉
    Ma la storia è già stata scritta o la scrivete “in diretta”?

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    1. La spiegazione non è mai logica come si vorrebbe. Men che meno come vorrebbe il protagonista di un racconto dell’orrore.
      Diciamo che abbiamo un buon margine di già scritto che ci permette di continuare a scrivere mentre pubblichiamo. 🙂

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  4. E finalmente ho un attimo per affrontare la lettura del racconto 🙂
    L’intenzione di omaggiare la prosa di Lovecraft – la cui xenofobia, a me, sembra davvero “paura dell’estraneo” più che disprezzo – è evidentissima. Lovecraft non aveva nemmeno uno stile tremendo: a tratti era molto fuzionale, a tratti meno, in generale gli avrebbe giovato “asciugare” un po’ la sua prosa, imho…
    Ma torniamo sui binari 😛 : la curiosità di vedere dove le CAPRE vogliano andare a parare c’è tutta, quindi questo primo capitolo, per me, è un discreto pilota 😉

    Un appunto: nel formattare il testo, vi sono scappati tre o quattro ritorni a capo nel mezzo di una frase 😛

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    1. Provvederemo a correggere le cose… se ci ricordiamo. Abbiamo grandi piani, ma spesso rimaniamo imbambolati a sentire i suoni discordanti dei flauti.
      – la xenofobia è “paura dell’estraneo”. Concordo. Paura di ciò che non conosco.
      – Lo stile di Lovecraft è uno stile molto particolare… funzionale alla tipologia di racconti che scrive e alla sua idea di “modo per raggiungere la suspance”. Concordo sull’asciugare alcune frasi, parti, testi…
      – Discreto pilota!? Un grande complimento.

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